mercoledì 4 ottobre 2017

La nostra prima settimana insieme

Qualche giorno fa mi è arrivata una foto che ritraeva una bimba nata da pochi minuti in sala parto, tra le braccia della sua mamma.
E ammetto di aver provato un pizzico di invidia.
Perché io non ho una foto così.
Io non so cosa vuol dire sentirti sul mio petto pochi secondi dopo averti messo al mondo.
Non conosco quella sensazione.
Io non ho un ricordo di noi tre in sala parto.
Il tempo di uno sguardo e di un bacino sulla fronte e ti hanno portato via.
E giuro, lo ricordo come se fosse oggi, i nostri occhi, anche se per pochi secondi, si sono incrociati.
Imprinting lo chiamano.
E anche se so bene che il tuo papà non ti ha lasciato neanche per un secondo e anche se l’unica cosa che volevo in quel momento era che tutti si accertassero che tu stessi bene, a me questi momenti sono mancati.



Sono arrivata in camera che erano circa le 2.00 del mattino.
E ancora oggi mi chiedo perché a quell’ora non sono venuta da te.
Ok, mi avevano detto di no e che avresti passato la notte nella culletta termica e bla bla bla.. ma io perché non ho insistito?
Non lo so.
Il tuo papà continuava a dire che eri bellissimo e che mi assomigliavi tanto.
Ho dormito per qualche ora, mi sono svegliata ed ho cercato di prepararmi al meglio, come per andare ad un primo appuntamento.
E sono venuta a cercarti.
Il nostro primo appuntamento.
Non sapevo neanche dove andare.
Sono entrata in quella stanzetta in punta di piedi “Signora venga, si sieda, adesso glielo mettiamo in braccio”.
Questa foto ritrae la prima volta che ti ho tenuto tra le mie braccia.
Avevi questi vestitini deliziosi, in perfetto clima natalizio, copertina, cappellino e maglioncino cuciti a mano e donati all’ospedale per i bimbi prematuri, così mi hanno raccontato.
Le tutine che avevo preparato per te erano troppo grandi e io stavo aspettando che papà portasse qualche cambio della giusta misura, dentro il quale i tuoi 2 chili e i tuoi 44 centimetri non scomparissero.
Siamo stati così per ore, fino a quando non mi hanno detto che era arrivato il momento di 
provare a darti da mangiare.
Ricordo quella dolce signorina che ha provato a darti un pochino di latte; tu non ne volevi proprio sapere e dopo pochi secondi quelle gocce sono tornate su.
Un paio di tentativi falliti e delle analisi non completamente soddisfacenti hanno confermato l’inevitabile.
I valori della glicemia erano troppo bassi, ti avrebbero portato nel reparto neonatologia.
Io e il tuo papà ascoltavamo con attenzione le parole che prima un medico poi un altro e poi un altro ancora ci stavano rivolgendo ma onestamente non ci capivamo nulla.
O meglio, avevamo la mente annebbiata.
Continuavo a ripetermi “Perché proprio a me?”
Mi sentivo tremendamente in colpa, non ero stata brava a tenerti con me ancora per un mese.
Ho indossato quel camice verde con le mani tremanti ed ho ascoltato attentamente tutte le regole da seguire, sembrava tutto così difficile e complicato.
Il mio cuore si è fatto piccolo piccolo quando ti ho visto per la prima volta in quella culletta. 
Potevo prenderti in braccio, baciarti e stringerti forte ma non potevamo spostarci di molto perché quel tubicino non lo permetteva.
Eri così piccolo, giuro che non sapevo come prenderti, come spogliarti e rivestirti.
Spesso lo facevo fare al tuo papà, lui era così bravo.
E quella notte per la seconda volta non sei stato con me in camera.
Ed è stato così per una settimana.
Ci separavano due piani anche se alla fine ero sempre giù con te.
Dovevo darti da mangiare ogni tre ore. Scendevo, ti cambiavo e poi provavo a farti bere quei 5ml da quel minuscolo biberon.
Già, provavo, perché non era affatto semplice.
Erano solo 5ml ma tu facevi fatica a finirli e quelle rare volte che riuscivi a berli, pochi minuti e tornavano su.
E ogni volta mi sentivo morire.
Di attaccarti al seno non se ne parlava, non riuscivi neanche a ciucciare e ti addormentavi subito. Non che con il biberon andasse molto meglio, io o il tuo papà lo tenevamo mentre un infermiere ti stimolava guance e gola per farti mangiare.
Ero stanca, avevo caviglie e gambe gonfissime, riuscivo a stento a muovere i piedi.
Stavo giù con te almeno 2 ore ogni pasto, tornavo in camera e mi ritrovavo alle prese con il tiralatte.
Il tempo di una rinfrescata o di un boccone e tornavo giù da te.
Non piangevi mai, eri così buono. 
Ed eri bellissimo, il nostro regalo di Natale.
Come facevo quando eri nella mia pancia ti parlavo tanto, ti dicevo di fare il bravo e di bere tutto il tuo latte così da poter andare a casa presto.
Nel giro di qualche giorno hai iniziato a bere un pochino di più, da 5ml siamo passati a 10ml, fino ad arrivare a 30ml.
Nonostante non finissi mai il latte e nonostante continuassi a tirarlo su, hai iniziato pian piano ad aumentare di peso. 
Ti hanno staccato quell’odioso tubicino e così i tuoi nonni, bis-nonni, zii e parenti hanno potuto finalmente vederti da vicino, nonostante tra loro e te ci fosse ancora quel maledetto vetro.
La mattina del 27 dicembre quando sono scesa mi hanno comunicato che ci avrebbero dimesso.
Ti abbiamo avvolto in quel saccotto caldo caldo e ti abbiamo portato a casa.
E con i tuoi 1890 grammi è iniziata la nostra avventura.

2 commenti:

  1. Ho letto con un senso di oppressione al petto e senza fiatare quasi. I miei occhi correvano solo alla ricerca del lieto fine e grazie a Dio l'ho letto. Anche io ho una nipotina che ha combattuto a causa di un parto prematuro e con una sofferenza fetale che poteva aver causato danni irreversibili al cervello che grazie a Dio non ci sono. Vi abbraccio fortissimo tutti, soprattutto il tuo piccolo grande lottatore❤️

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    Risposte
    1. Grazie mille per le belle parole, davvero!!
      Un abbraccio alla tua nipotina!! ❤️

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